C’è sempre una prima volta… ma come vorrei che non ce ne fosse una seconda

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395712_2892035465943_1735974752_nA Roma si dice che c’è sempre una prima volta, ma come vorrei che non ce ne fosse una seconda. Mi è capitato di celebrare il primo funerale di un ragazzo morto ammazzato. Un ragazzo di 27 anni, che un tempo frequentava i gruppi educativi della nostra parrocchia, e che li lasciò e si mise in giri strani. Probabilmente lo hanno freddato in un regolamento di conti.

L’esperienza macabra, è che qui le bare hanno una specie di oblo attraverso il quale si può vedere il volto del defunto. Nella bocca e nel naso era ricolmo di ovata per evitare le perdite di sangue (a quanto pare lo avevano anche colpito con la pistola nella faccia), e sul cappello una macchia di sangue in corrispondenza di uno dei colpi dell’arma da fuoco e un’altra macchia sulla camicia in corrispondenza dell’addome.

È triste, ma è un’esperienza molto forte e molto comune di tutti quei salesiani che lavorano con gli ultimi (esperienza che anche don bosco fece più volte) quella che quando un ragazzo si allontana da una nostra opera finisce male (e molte volte questo significa morte), perché speso noi siamo la sua ultima spiaggia. Per questo motivo, negli anni di servizio nella scuola professionale, dopo il primo anno, ho sempre cercato di trovare il modo per far terminare il corso alla maggior parte di ragazzi possibile, convinto che se falliscono con noi, poi chissà che fine fanno.

È stata una lezione che ho imparato velocemente, e che mi ha cambiato molto. Chi mi stava accanto se ne è accorto e me lo diceva l’ultimo anno, ora sei un’altra persona da quella che eri venuta il primo anno, e come era vero. Così il mio lavoro è stato quello di per fare in modo che il nostro centro non fosse il migliore perché bocciasse indistintamente ma perché riusciva ad insegnare meglio e che si prendesse cura dei casi più disperati. Del resto come diceva don Milani: “una scuola che non si occupa degli ultimi è come un ospedale che cura i sani e manda a casa i malati”.

Devo dire che celebrare questo funerale mi ha fatto ripensare, a quando ho dovuto celebrare il funerale di ragazzi che hanno frequentato il centro di formazione professionale del Borgo don Bosco, e di quanto mi ha fatto riflettere il concelebrare il funerale di un mio allievo. Ho pensato che Don Bosco si sarebbe domandato, che cosa potevo fare di più per non perderlo, per non vederlo lì in quella cassa… penso sia una domanda che un educatore si debba fare, non per colpevolizzarsi, ma per darsi l’energia per fare di più… Dio ci affida i ragazzi perché possano aprirsi alla vita, e alla vita piena che trova in Cristo la sua radice ed il suo culmine.