A Los Angeles per un incontro sull’immigrazione: alcune riflessioni

In questi giorni sono stato a Los Angeles per un corso di “opzione preferenziale”. Qui in America Latina si utilizza il termine “opzione preferenziale” per quello che in Italia chiamiamo la realtà dei “Salesiani per il sociale” ossia, l’impegno dei salesiani per le realtà di povertà e di emarginazione. Mi piace molto il termine “opzione preferenziale” perché esprime meglio quello che Don Bosco scelse come sua scelta di vita: gli ambienti poveri e popolari. Il tema dell’incontro era la immigrazione con il motto “costruire ponti e non muri”. Credo che tutti sappiate della proposta di Donald Trump di costruire un muro tra il Mexico e gli Usa per impedire agli immigrati provenienti dall’America Latina di passare nel territorio degli Stati Uniti.

Abbiamo visto prima di tutto alcune esperienze di risposta dei salesiani e della Chiesa in generale in materia di immigrazione.

Tra le esperienze che abbiamo visto:

  • Tijuana, in Mexico, dove i salesiani hanno costruito una mensa e un dormitorio per i migranti che vivono nella frontiera con gli Usa, tentando di entrare. In questo momento si prendono cura dando cibo a 1000 persone ogni giorno e accogliendo nel dormitorio più di 300 persone. Tutto questo grazie alla solidarietà della gente. La gente porta il cibo, lo cucina, pulisce, chiaramente anche la gente ospitata collabora, ma è incredibile vedere studenti delle superiori, dell’università mettersi a servizio di tanti migranti. In questo momento è forte l’emergenza dei profughi di Haiti. Ogni giorno si ammassano alla frontiera solo nella città di Tijuana 400 persone ed il governo statunitense ne accetta solo 50. Chiaramente gli altri aspettano il loro turno. Potete immaginare come in pochi mesi la popolazione della città sia praticamente duplicata… Al bisogno concreto la Chiesa in generale (non solo i salesiani, perché altre congregazioni hanno fatto lo stesso) ha voluto rispondere in prima persona. Rispondere ai bisogni della gente questa è la chiave per essere autenticamente Chiesa di Cristo.
  • Una parrocchia Gesuita a Los Angeles che ha fatto una scelta di campo per gli immigrati. La Chiesa la notte alle sei si trasforma in un dormitorio per vari migranti illegali. Alle cinque della mattina si trasforma in una mensa, dando la colazione alle persone che hanno dormito la notte e alle sei e mezza della mattina si sbaracca tutto per la messa delle sette. È interessante che all’inizio questa scelta ha creato vari problemi soprattutto con i fedeli, che non accettavano che la loro chiesa fosse utilizzata come dormitorio e come mensa. Gli odori dei migranti, la sporcizia. Dice il sacerdote, che ora tutti i fedeli si sono convertiti alla solidarietà e la stessa gente che prima non voleva sentir parlare di questo cambio, ora tutte le mattine, a turno, si svegliano prima per servire i poveri e ripulire tutta la chiesa e rimetterla in ordine. Alle sette si celebra la messa come se niente fosse. Credo che non esista un luogo più sacro come questa piccola chiesetta per celebrare l’eucaristia, un luogo in cui la carità si concretizza e si apre all’incontro con l’altro. Non saprei dirvi se in Italia a una proposta come queste come reagirebbe la gente…
  • Un centro di integrazione per giovani provenienti dalle “Bandillas” sempre in Los Angeles. Le “Bandillas” sono le organizzazioni criminali latino americane. Nascono negli USA come forma di protezione tra latino americani e diventano col tempo vere e proprie organizzazioni a delinquere. Chi entra in una banda, non può uscire se non morto. Il centro accoglie vari di questi ragazzi con precedenti davvero terribili e con un programma che comprende inserzione nel mondo del lavoro, accompagnamento psicologico, cerca di dare una nuova opportunità al ragazzo. Chi lavoro nel centro rischia la morte continuamente, perché le bande non vedono di buon occhio chi gli ruba la materia prima… Non poche sono le minacce di morte. La cosa più forte all’interno del programma è la rimozione dei tatuaggi. Il tatuaggio è il simbolo di appartenenza alla banda. Toglierselo è un gesto forte di chiusura con il passato. Il ragazzo che accompagnava la visita guidata è frutto del programma, ha abbandonato la banda ed ora vive un’altra vita. Commovente quando ci ha fatto vedere sulla gamba la cicatrice di uno sparo e poi ci presenta il ragazzo che gli aveva sparato tentando di ammazzarlo e che faceva parte di un’altra banda rivale e con il quale ora lavora a stretto contatto per strappare altre vite dal mondo della malavita. Vederlo scherzare con chi quasi lo aveva ammazzato e dire candidamente: “Non ha mai avuto una buona mira il ragazzo”… Perdonare chi ti ha fatto del male, porgere l’altra guancia… chissà se io sacerdote, avrei la stessa capacità di fare quello che ha fatto questo ragazzo che la nostra società ha etichettato come poco di buono, come delinquente… ma diceva qualcuno tanti anni fa… “pubblicani e prostitute vi passeranno avanti nel regno dei cieli…”

Nella riunione abbiamo parlato di molte cose. Condivido alcune riflessioni che mi sono scaturite dall’incontro:

La prima è che molte volte non sappiamo distinguere tra povertà ed emarginazione. La povertà di per sé non è un problema. Tutti abbiamo povertà, ossia abbiamo qualcosa che ci manca. In Europa ora è di moda parlare di povertà di affetti, di povertà di valori e quasi si equiparano queste povertà, alle povertà del terzo mondo che oltre ad avere quelle sopracitate, hanno anche quelle economiche che non gli permettono di arrivare alla fine della giornata. La povertà è problematica quando causa emarginazione, per questo non si potranno mai equiparare le povertà di valori e di affetti con quelle del terzo mondo.

Le povertà, qui nel terzo mondo creano esclusione, sono causa di emarginazione. Non poter accedere agli studi, a cure mediche a una alimentazione decente e a tutto quello che noi consideriamo un diritto è un “grido” che ci interpella a rispondere. Parlare di altre povertà può diventare una scusa che ci tappa le orecchie a questo grido di soccorso che milioni di persone ci urlano ogni giorno. Molte volte pensiamo agli immigrati come un problema, perché solo cercano di trovare un posto migliore (anche se mi domando se in fondo anche noi, non cerchiamo di stare meglio). Ci dimentichiamo, però di una cosa importante, che la maggior parte di loro sta scappando da dove vive, perché dove vive non ha nessunissima possibilità di vita. Chi migra dal Centro America per gli Usa lo fa  perché nel suo paese rischia la vita ogni istante. Rischia di venire ammazzato per una banalità. Un migrante è una persona che cerca di vivere. Chi abbandonerebbe la propria casa e i propri affetti se non fosse disperato?

La seconda è vedere la gente di Haiti celebrare messa, cantando e ballando felice perchè il padre che la stava celebrando era haitiano come loro. Tra le persone del corso vi era un gruppo di Haiti. Mi ha riempito di emozione. Gesù riesce a unire e infiammare i cuori perchè dona speranza, la stessa speranza che le difficoltà del viaggio tende a spegnere. C’è un cartello sul muro che divide gli USA dal Mexico di un immigrato che scrive:”qui è dove i sogni vanno a sbattere”. Mi ha colpito questa frase, sarà perchè don Bosco era un grande sognatore, forse perchè lo sono anche io… e pensare che la gente vede morire i suoi sogni mi fa inorridire. Per fortuna nel mondo molte persone si impegnano perchè i sogni si trasformino in realtà e spero ardentemente che davvero questa riunione e gli impegni che ci siamo presi come regione interamerica si trasformino in realtà.

Un abbraccio

Don Giampiero


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Causale per Giampiero Peten