una mail un po’ rosa

ImmagineQuest’anno devo dire che mi è capitato di lavorare molto con ragazze. Gli alunni del centro di formazione professionale sono principalmente ragazze. Il 95% degli alunni sono ragazze (la maggior parte di loro ragazze madri con almeno uno o due figli). Bisogna dire che in Honduras la popolazione è nella maggior parte femminile, circa il 60 % sono donne, ma la loro condizione e il rispetto dei loro diritti è ancora molto lontano dal raggiungere i livelli minimi.

Vi racconto un’esperienza che ho avuto la notte passata. È venuta a parlare con me una ragazza, per confessarsi e per chiacchierare. Tra le cose che mi ha detto, verso la fine, con un po’ di vergogna nel dirlo mi ha raccontato che uno dei capi della malavita locale, voleva rubarsela (qui dicono “Tomarla” … letteralmente prenderla, lo stesso verbo che si usa per farsi una birra per intenderci, e come diceva un mio professore oggi in cielo, le parole hanno il loro valore) e nel vero senso della parola, cioè le rapiscono e le portano nella loro casa e “diventano le loro mogli” anche se a la ragazza lui non interessa, chiaro se lei non vuole e non accetta la schiavitù (perché di questo si tratta), può sempre scegliere di essere crivellata di colpi di una pistola. Non so se avete presente quando gli uomini delle caverne con la clava colpivano la donna in testa e la trascinavano alla caverna, beh è un po’ così.

È già la seconda ragazza che mi racconta una cosa del genere. Per fortuna siamo riusciti ad intervenire in tempo per evitare che questo passasse e si creassero complicazioni irreparabili, però a volte mi domando come si possa arrivare a certi estremi, come si possa cosificare le persone. Si sono oggettivamente entrambe belle ragazze, ma questo basta per esercitare su di esse un diritto che nessuno ti ha dato? Credo proprio di no, ma ci sono cose che qui vengono accettate per cultura. Non comprenderò mai come le ragazze accettino che i loro mariti le tradiscano e ritornino a casa senza dire niente; a volte lasciano la casa e ritornano dopo tre o quattro mesi, come se niente fosse; capita che tornino a casa e le picchino; o che dopo averle messe incinta se ne possa andare come se fosse normale (se va bene le da un po’ di soldi per il figlio). Nella cultura di qui, l’uomo ha il diritto di comportarsi così e farle capire che questo non è amore a volte è davvero difficile. Si accetta la situazione e compromessi, perché la paura di rimanere sole è più forte, in fondo un uomo può scegliere tra tante altre, se questa gli crea troppi problemi, fuori ce ne sono tante che non li fanno e nel dubbio di essere abbondonate e di vivere sole, preferiscono non impugnare le armi. Le ragazze lo sanno che non è giusto, perché in confessione si sfogano ma poi non fanno niente per cambiare le cose, accettano supinamente un destino infausto. Il rispetto credo sia la base dell’amore e che hanno il dovere di pretenderlo.

Sono incaricato per l’Honduras dell’associazione “damas salesiana” (letteralmente dame salesiane) è un’associazione della famiglia salesiana composta da donne che si impegnano nel sociale. Le ho predicato il ritiro di fine anno e quest’anno abbiamo festeggiato le entrata di due nuove dame salesiane che hanno emesso la promessa. È bello vedere donne che con la loro femminilità si impegnano per costruire un mondo più giusto, soprattutto in una nazione dove la donna non conta poi molto e che viene considerata incapace di fare qualsiasi cosa oltre che le faccende domestiche e sfornare figli. Nella nostra parrocchia sono molte le donne che rivestono incarichi di responsabilità.

Continua intanto la missione parrocchiale tra le vie della gente. Presto manderò una nuova fotocronaca con le nuove notizie.

Mi permetto di concludere con un piccolo pensiero spirituale, su quello che vivo nel mio rapporto con il Signore. È il mese della missione, e quindi il mese dell’impegno dei cristiani per annunciare quella Parola di Vita sulla quale poggiamo la nostra vita. Ultimamente queste parole suonano in maniera molto diversa, credo il cammino di conversione che poco alla volta il Signore mi sta facendo compiere attraverso la missione.

Che cosa significa per me oggi annunciare il Vangelo? San Francesco di Assisi disse una volta :« Predica sempre il Vangelo, quando è necessario fallo anche con le parole» e credo sia il senso dell’evangelizzare, a volte confondiamo l’annunciare il Vangelo con qualcosa da dire e quante volte l’ho sentito, come cristiani, abbiamo vergogna di quello che diciamo, dobbiamo avere il coraggio di dire la nostra fede (e questo capita spesso nell’annuncio vocazionale). No, non è questo il problema di evangelizzare, per me annunciare il Vangelo è prima di tutto convertirsi, non posso annunciare quello che non ho, quello che non vivo. Annunciare il Vangelo è convertirsi alla croce. Alla croce non come segno di sofferenza ma come modello più alto dell’amore. Solo attraverso la croce si può comprendere cosa sia veramente amare. Si può amare veramente qualcuno che non ti ringrazia, ti rifiuta, o arriva perfino a sputarti in faccia, solo quando fai tua la croce: perché non si ama per avere una ricompensa, ma a prescindere da se l’altro sé lo meriti o no.

Se faccio mia la croce, allora già starò evangelizzando, perché avrò vinto il mio egoismo ed in tutto quello che faccio cercherò il bene dell’altro, solo per il gusto di fare il suo bene, perché il suo bene è il mio bene, la sua felicità è la mia stessa felicità. Paolo diceva per me vivere è Cristo, quando fai tua la croce, vivi per Cristo perché solo lui ti può dare la forza di amare nella verità. Quando si scopre la bellezza della croce, tutto il mondo acquista un’altra luce.