“La fé nos unió” – testimonianza di Chiara Gemelli

La testimonianza di Chiara Gemelli. Volontaria italiana nella nostra missione.

C’è voluto un po’ di tempo per mettere ordine alle riflessioni maturate in un mese vissuto nella Missione salesiana a San Benito, nel cuore del Petén, perché al ritorno ho avuto come la sensazione di essere stata travolta da un vero “tsunami” di emozioni…

Il Petén è un altro mondo e un mese lì vuol dire una vita agli antipodi di quella che era la mia quotidianità…ho preferito aspettare… rifletterci… provare a sentire come un’esperienza così forte fosse riuscita a penetrarmi e a donarmi nuovi occhi per guardare me stessa, gli altri e tutto ciò che mi circonda.

Sono tornata con una nuova veste per la mia anima e il mio spirito… perché andare nel Petén significa andare incontro ai propri limiti, aprire la mente e il cuore, lasciarsi assuefare da una genuina umanità carica di amore, riscoprire il valore della fede cattolica vissuta nello spirito di Don Bosco, che porti dentro da quando sei bambina, perché te l’hanno insegnata a casa, a scuola, in parrocchia.

Di una cosa sono convinta: l’incertezza provata alla partenza su come sarei potuta essere d’aiuto, è stata sostituita dalla certezza incontrovertibile, per chiunque abbia la possibilità di vivere un’esperienza così intensa, che per quanto puoi dare, tornerai a casa avendo ricevuto il doppio.

Sono stata attenta, ho osservato e mi sono posta tante domande. Credo onestamente che senza la guida di Padre Giampiero, molti di quei quesiti non avrebbero avuto alcuna risposta.

Contestualizzare l’operato della Missione di San Benito è importante per comprenderne a pieno l’autenticità del carisma salesiano che ispira ogni azione, e l’efficacia che riesce ad avere in un territorio per certi versi ostile sia dal punto di vista culturale che da quello sociale.

La situazione socio-politica è molto difficile. Il Paese risente ancora degli effetti dell’ultima guerra civile. Te ne accorgi notando i vetri oscurati delle auto (una protezione contro i sequestri di persona), le “tiendas” (negozi) serrate dalle inferriate o sorvegliate da uomini armati (come precauzione contro rapine), i simboli dei luoghi di spaccio. Le condizioni igienico-sanitarie sono difficili da accettare per chi viene da un Paese ricco. Non ci sono locali per fare “fiesta”, il pericolo e le brutte frequentazioni sono costantemente dietro l’angolo. La povertà dilaga e la violenza su donne e bambini è un fenomeno molto, troppo diffuso, sebbene paradossalmente siano proprio loro – donne e bambini – il centro motore della popolazione in una società sostanzialmente maschilista. Le istituzioni sono praticamente assenti o inutili.

La Missione si muove a pieno nel carisma di Don Bosco: la cura e l’attenzione verso i giovani, le donne e i più poveri, attuate mediante la creazione di un centro di aggregazione sociale sano, dedito alla concreta educazione di “onesti cittadini e buoni cristiani”.

Le porte della “casa del padre” (per noi il sacerdote!) sono sempre aperte per accogliere i più poveri donando cibo, conforto e un concreto aiuto per chiunque si trovi in qualsiasi genere di difficoltà.

E’ lì che trovi i tre salesiani della Missione, ognuno dei quali porta avanti le attività affidate con il proprio bagaglio di esperienza da missionario pluriennale, ognuno dei quali con una personalità singolarissima.

San Benito è una parrocchia che abbraccia tanti fedeli, la Chiesa e l’oratorio sono sempre gremiti di bambini, uomini e donne di ogni età e condizione sociale, tutti riuniti per le attività formative, la preghiera ed il volontariato.

Penso che la Missione sia benedetta: l’aura di protezione che si percepisce al suo interno è incredibile e tangibile. Chiamatela pure Provvidenza, ma a San Benito anche nei momenti di maggiore difficoltà (tra le varie vicissitudini abbiamo bucato due volte di notte nel cuore della foresta pluviale ed un uragano ha attraversato la regione provocando gravi allagamenti) ce la siamo sempre cavata bene!

E’ difficile poter raccontare le emozioni che si riescono a vivere lì, ma ci proverò con una doverosa premessa: nel Petén è tutto “tanto”, tutto “oltre”, e le emozioni, sia quelle belle che quelle brutte, sono tutte straordinariamente amplificate.

Te ne accorgi quando…

Quando incontri i ragazzi che ti danno il benvenuto accogliendoti col sorriso mentre ti cingono in un soffocante abbraccio, ti regalano il simbolo della loro appartenenza alla comunità dei giovani (un braccialetto di gomma con la scritta “la fé nos unió”) e la maglietta del Campo Bosco al quale hanno appena partecipato….e tu sei diventata, in un decimo di secondo, una di loro!
Quando girando tra le corsie del fatiscente ospedale cittadino, ti sorprendi della gratitudine di malati e familiari in attesa dei volontari della parrocchia che portano un sorriso, una parola di conforto, una bevanda energizzante, dei panini; per poi perderti negli occhi commossi delle donne che hanno appena partorito che ricevono in dono dei semplici pannolini.
Quando incroci il sorriso delle donne che si riuniscono nei gruppi di preghiera o formazione o per un piccolo corso professionale organizzato per fare creme, shampoo o per imparare a tagliare i capelli.
Quando ti accorgi che i piccoli delle dodici cappelle ove opera la Missione ti aspettano al cancello, superano la diffidenza iniziale con un timido sorriso, ti corrono incontro per ricevere un abbraccio e, felici, passano un pomeriggio insieme, fatto di gioco o di piccoli lavoretti manuali.
Quando noti che ci sono bambini che camminano, corrono, giocano e saltano nelle pozzanghere senza le scarpe.
Quando alla mensa organizzata dalla parrocchia i bambini aspettano in fila in silenzio, ma con l’ansia di mangiare, perché hanno solo fame.
Quando: vedi il coraggio delle donne che gravitano intorno alla parrocchia, rimaste sole perché vedove o abbandonate dai mariti, che crescono tre o quattro figli con devozione e offrono con fede il loro tempo libero alle attività promosse dalla Missione.
Quando ti presenti a casa dei parrocchiani, anche ad orari insoliti, per portare un presente per la nascita di un bimbo o un dolce e ti ritrovi a cenare con tutta la famiglia, nonnetta compresa, e riesci a sentirti in famiglia per il calore che ti avvolge e ti riempie il cuore.
Quando vai nei villaggi limitrofi a San Benito e tocchi con mano la parola Povertà, vedi con i tuoi occhi gli effetti della malnutrizione o della denutrizione rendendoti conto di cosa è importante nella vita e provi vergogna perché vivi in un paese del benessere.
Quando ti rendi conto che molti bambini non riescono a sorridere perché hanno un vissuto già troppo doloroso per la loro tenera età e, nonostante tutto, chiedono affetto, anche da te che sei appena arrivata e tra un mese andrai via.
Quando non puoi trattenere le lacrime perché ci sono bambini piccoli, ragazzi e intere famiglie che vivono in discariche a cielo aperto, circondati dai rifiuti, e non puoi fare a meno di chiederti che vita potrà mai esserci lì.
Quando dopo il passaggio dell’uragano almeno una ventina di giovani volontari, capitanata da Padre Giampiero, organizza l’assistenza in favore degli abitanti sfollati dalle case allagate e scoperchiate.
Tutti questi “quando” sono stati la mia quotidianità per un mese mentre tutto scorreva con ritmi accelerati.

Oltre alle consuete attività di catechesi e animazione per i gruppi di bambini e giovani e donne, nella parrocchia e nelle dodici piccole cappelle dislocate nel dipartimento, la Missione ha dato vita a una squadra di calcio che coinvolge l’intera cittadina, istituisce borse di studio per giovani e donne, assiste costantemente le famiglie più bisognose (e sono tante!), ha organizzato un ambulatorio medico per consentire l’accesso a cure sanitarie e per tenere campagne informative sulla prevenzione del diabete e la gestione consapevole della sessualità (nel Petén ci sono tante mamme bambine).

Ora l’obiettivo della Missione è quello di costruire un centro giovanile ove far confluire tutte le attività già svolte con l’intento di ampliarle.

Tutto quello che ho avuto l’opportunità di fare era preceduto e si concludeva con uno straordinario cerchio di mani unite, strette, per la preghiera insieme. E’ il modo per ringraziare, per avere la forza, per offrire l’operato a Dio.

Sono tornata a casa felice per questa esperienza stravolgente, ma non posso nascondere che dal rientro non c’è stato un giorno in cui non ho pensato ai miei nuovi amici, bambini, ragazzi e donne.

Forse è semplicemente vero quello che molti dicono dopo aver vissuto l’esperienza missionaria in Petén: quando vai a San Benito un pezzo del tuo cuore resta lì, sono le persone che incontri che lo conquistano con la loro umanità, il loro amore e la loro fede.

Ti viene poi da pensare che nonostante la distanza, la differente condizione sociale e culturale, la lingua, le esperienze che hai e che potrai fare, quel legame che si è costruito con la Missione non può che accompagnarti ogni giorno, perché ormai fa parte di te.

“La fé nos unió” è stato il mio benvenuto in Petén; questa unione nasce dalla fede in quei valori salesiani condivisi che sono partiti dall’Italia e ora animano anche lo spirito della comunità di San Benito.

E mentre in questa parte del mondo ci ossessioniamo alla ricerca di un egoistico benessere personale, nel Petén puoi renderti conto che è solo donandosi agli altri con carità cristiana che è possibile trovare quella serenità interiore cui tanto aneliamo. E’ quell’amore assoluto e incondizionato verso il prossimo, mosso dalla fede ed alimentato dal carisma salesiano che può davvero purificare l’anima e nutrirla.

Al ritorno ti sorprendi a guardare l’orologio e a chiederti che ore sono lì, cosa faranno i ragazzi, com’è andata la partita … cresce in te la voglia di tornare appena possibile.

Il mio grazie più sincero va al mio amico Padre Giampiero, un autentico salesiano, che mi ha dato l’opportunità di vivere questa esperienza che mi ha tanto arricchita e mi ha accompagnata per mano alla scoperta ed alla comprensione di una realtà unica e bellissima.

Grazie anche ai miei compagni d’avventura, spagnoli e italiani, che hanno condiviso la fatica e la gioia di questo mese insieme, tutti accoglienti come una famiglia.

Grazie a tutti gli amici guatemaltechi che mi hanno accolto con un potente abbraccio nelle loro vite… anche da lontano “La fé nos unió”!